Buoni per qualcuno, indigesti per altri. Si chiamano cookies, non quelli al cioccolato ma quelli informatici. Il primo cookie in HTTP è datato 1994, lo introdusse Netscape per verificare chi avesse già visitato il sito in precedenza. Qualsiasi sito web apriamo oggi, una finestra molto grande ci informa della raccolta di informazioni, che è possibile accettare o rifiutare. Esistono due tipi di tracciamenti: statistici e profilanti. I tracciamenti profilanti raccolgono informazioni con finalità pubblicitaria. Quando non si accettano i cookie di terze parti si mandano le piattaforme pubblicitarie un po’ fuori giri, ricevendo meno dati e minore visibilità sulla scelta effettuata dall’utente. A differenza dei cookie di prima parte, i cookie di terze parti non appartengono a chi gestisce il sito web ma a un soggetto terzo e servono a profilare il navigatore del sito, ovvero analizzare comportamenti e tracciare i suoi gusti per restituire pubblicità mirate.
Ma questo meccanismo è oggi in crisi. Per varie motivazioni. Il noto GDPR, di cui già abbiamo scritto su questo blog, atto a tutelare la nostra privacy di cittadini europei, andrà progressivamente stringendo le proprie maglie. In altre parole, l’orientamento del legislatore è rendere più restrittive le pratiche di raccolta e conservazione dei nostri dati e, ovviamente, l’utilizzo a fini promozionali e pubblicitari. E questo complica la vita alle grandi piattaforme pubblicitarie. “Alla luce del dibattito in corso a livello mondiale e nazionale – anche in forza delle imminenti discontinuità tecnologiche (eliminazione dei cookie di terze parti) – come associazione riteniamo sia fondamentale creare sistemi di misurazione basati sulla massima convergenza e confrontabilità dei mezzi e sulla più ampia rappresentatività di tutti gli operatori della filiera” ha dichiarato a fine maggio 2021 Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia. Chiedendo, in sostanza, l’introduzione di misurazioni dell’audience standardizzate per un corretto sviluppo del mercato e una maggiore trasparenza.
Di recente Google ha lanciato, sia pure in versione beta, la funzionalità Consent mode che intende rispettare la scelta dell’utente e al tempo stesso fornire informazioni alla piattaforma. In base alle scelte dell’utente le piattaforme Google ricevono informazioni anonime che registrano solamente la visualizzazione della pagina e eventuali parametri presenti nell’URL. I dati vengono registrati in modo anonimo, e questo fa del Consent mode un sistema GDPR compliant. Già si parla di svolta cookieless, ma convincerà i legislatori UE che l’invasività che i sistemi di profilazione hanno raggiunto negli scorsi anni verrà definitivamente archiviata? E soprattutto, convincerà i magistrati che Google non abusa di posizione dominante, come la recentissima inchiesta in Germania?
Justin Schuh, direttore di Google Engineering per Chrome, afferma che Google intende “rendere il web più privato e sicuro per gli utenti”. Nel frattempo, è stata rilasciata la versione beta di Android 12, dalle molte novità in materia di sicurezza dei dati e privacy degli utenti: il gestore delle password segnalerà eventuali credenziali compromesse e darà pieno controllo dei dati usati dalle App. E grazie a sistemi di Intelligenza Artificiale verranno migliorate le ricerche su Internet. Android 12 avrà un pulsante Quick Delete per cancellare rapidamente la cronologia delle ricerche effettuate negli ultimi 15 minuti: basterà un tocco dal menu del proprio account Google. Inoltre, una nuova funzione chiamata Privacy Dashboard consentirà agli utenti di controllare da vicino i permessi di sistema delle App installate, dando un consenso più ragionato sulle App che tracciano i dati personali per scopi pubblicitari e avvisando quando le stesse App utilizzano videocamere o altri strumenti invasivi di profilazioni. Parte integrante di Android 12 è il nuovo strumento Android Private Compute Core che consentirà di mantenere private e al sicuro sullo smartphone le informazioni personali degli utenti. Informazioni che gireranno solo nella memoria del dispositivo e non sui server di Google, evitando quindi di finire sul Web.
Anche Apple si muove sul fronte privacy e dati, e lo fa con una campagna di comunicazione e un gioco online per spiegare alle persone come funziona il tracciamento dei dati e quanti ne vengano prelevati a insaputa degli utenti. La campagna di Apple ‘Tracked’ mette in luce le funzioni dell’App Tracking Transparency dell’iPhone, che consente di fare optout dal tracciamento di tutte le interazioni online. Nel divertente video vediamo il protagonista alle prese con appiccicosi impiccioni che lo controllano per tutta la giornata dal momento in cui inizia la sua giornata in un bar. L’app anti-tracciamento funziona solo sull’aggiornamento di iOS 14.5.
Una cosa è certa. Siamo entrati in una nuova stagione del trattamento dei dati. L’era del dato sostenibile. La stagione dei cookies è oramai al tramonto e per le aziende di marketing non sarà più possibile targettizzare in maniera precisa gli utenti, i quali saranno molto più responsabilizzati e consapevoli sulla gestione dei dati personali. Siamo entrati in una fase in cui le aziende sono chiamate ad implementare davvero una data strategy efficace, responsabile e coerente. Partendo dai dati di prima parte. Per fare questo occorrono data scientist esperti, capaci di raccogliere dati di qualità e persistenti. Dai cookies alle personas, insomma. Ma servono tecnologie e esperti qualificati.