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Un cuore verde. Da Lacoste a Greta Thunberg, ecco come il tema ambientale sta cambiando le imprese.

 

Al posto del celeberrimo caimano alcune specie animali minacciati, ripresi sulle magliette come varianti del logo tradizionale. Dieci nuove polo dedicate a dieci specie in via di estinzione: la tigre di Sumatra, la tartaruga burmese, il rinoceronte di Giava, il gibbone Cao-Vit, l’iguana di Anegada o la focena del Golfo di California. Prodotte in numero esattamente pari agli esemplari rimasti. Restano solo 231 condor californiani nel mondo? Sono esattamente 231 le Lacoste con un logo verde a forma di condor. Un’edizione super limitata, per un totale di 1775 capi prodotti, sold out in pochi giorni e il ricavato destinato alla lotta per la conservazione delle specie a rischio. Non esce dal perimetro dell’alta gamma o del lusso, la francese Lacoste, ma si associa a pensieri nuovi, a sensibilità nuove, a urgenze della nostra epoca. Mettendoci tutto il carico di appeal e di autorevolezza del marchio. Utili sì alla causa animalista, ma utile anche ad una nuova narrazione etica del brand francese nel 2018. Dove al posto del tradizionale caimano delle polo compare l’animale in via d’estinzione, nella bella campagna Save Our Species realizzata dall’agenzia parigina BETC per i 70 anni di IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Così immediata e potente, la campagna, da essere risuonata in pochi giorni in tutto il globo.

 

In questo 2019 è esploso il caso della sedicenne svedese Greta Thunberg, su cui già si è detto e scritto molto, talvolta a un po’ a casaccio. Atteniamoci ai fatti. Le teenager svedese ha iniziato una battaglia personale tenendo con regolarità, ogni venerdì, una manifestazione solitaria davanti al parlamento svedese con lo slogan “Skolstrejk för klimate”, sciopero scolastico per il clima. Nel corso dei mesi questo fatto locale è cresciuto divenendo internazionale e, infine, muovendo masse di giovanissimi in tutto il mondo, pronti a scendere in piazza per manifestare un’urgenza climatica e sociale. Tutti i big della terra, compreso Papa Francesco, si sono messi in fila per conoscerla, o semplicemente per vederla da vicino e tentare di capirla meglio. Paolo Iabichino, noto pubblicitario, interpellato sul fenomeno Greta afferma che “certamente il suo messaggio è molto dirompente, anche se portato avanti in maniera un po’ naif. Il punto credo principale, la chiave del suo successo comunicativo, dipende dal suo mettersi ogni venerdì ossessivamente davanti al Parlamento. A questo si aggiunge il fatto che Greta è estremamente polarizzante, o te ne innamori o no. Anche se questo è figlio del tipo di comunicazione cui ci siamo abituati”. Insomma, Greta o la ami o la detesti. E se la ami, è per la sua ostinata determinazione alla lotta. Spostando il focus da Greta alla sua generazione Iabichino conclude, “siamo di fronte ad una nuova onda di consumatori. Questi ragazzi dettano la linea alle aziende. E questo è un fatto importante. Il fatto che questo dia esiti positivi o negativi è impossibile da stabilire. Quello che possiamo dire è che oggi l’agenda delle aziende deve guardare alla sostenibilità perché glielo chiede l’80’% dei consumatori. A dirlo è l’Ipsos in una delle sue ultime ricerche. E su questo Greta non c’entra nulla. È arrivata dopo. Anzi forse potremmo dire che Greta è il prodotto di questa nuova consapevolezza”.

 

Una nuova consapevolezza. Che le motivazioni siano nobili o anche solo di marketing, le aziende non possono più sottrarsi al confronto con una nuova generazione di cittadini/consumatori oggi più che mai sensibili alle tematiche ambientali, ma anche responsabilizzati e ingaggiati e disponibili a spendersi in quella direzione. Ma c’è di più. I millennial all’interno delle aziende chiedono che la propria azienda agisca in maniera responsabile e che lo faccia in modo concreto. Da una recente indagine statunitense pubblicata dalla CNBC è infatti emerso che l’86% dei millennial accetterebbe una riduzione del proprio stipendio a patto di lavorare per un’azienda rispettosa dell’ambiente e capace di produrre azioni concrete di responsabilità sociale d’impresa. Una reputazione che implica un impegno preciso. Secondo una ricerca di GreenBiz, due giovani su tre non sarebbero disposti a lavorare per un’azienda che non abbia un forte impegno in campo ambientale e l’85% vorrebbe avere l’opportunità di essere parte attiva nel raggiungimento di obiettivi legati alla responsabilità sociale d’impresa.

 

Dire green è dire business? Sembra proprio di sì. La rivista Forbes pubblica una ricerca dove si evince che le politiche di responsabilità sociale giovano alle aziende, sia in termini di reputazione, sia in termini di attrazione per i migliori talenti. Dipendenti e collaboratori che intendono spendersi in prima persona in politiche di sostenibilità ambientale. Se molta strada resta ancora da fare, gli esperti evidenziano tre step su cui le aziende dovranno concentrare gli sforzi in vista di un migliore impatto sul futuro. In primis la ridefinizione di azienda socialmente responsabile, ovvero una rendicontazione puntuale e una comunicazione adeguata dell’impegno CSR sulla base di indicatori come l’impatto economico, la trasparenza e il benessere dei propri collaboratori. In secondo luogo, le aziende dovranno coinvolgere e ispirare i collaboratori in modo più efficace, liberando nuove energie e consentendo ai propri collaboratori di partecipare in modo attivo ai progetti sociali. Da ultimo, superare le cicliche crisi di sfiducia dando nuovo protagonismo ai dipendenti e permettendo loro di diventare reali agenti del cambiamento sociale.

 

Isabella Nanetti

Risorse umane – Energee3

 

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