Esistono tre grandi temi che investono quotidianamente la vita di un’impresa: la gestione della conoscenza, la gestione dei progetti, la gestione delle risorse umane. La gestione della conoscenza è un asset impalpabile e immateriale, ma al tempo stesso è quanto di più fondamentale possa riguardare il successo di un’impresa. È il mantenimento degli assetti cognitivi dell’impresa, sono le idee elaborate per rispondere alla complessità del mondo esterno, ovvero clienti, mercato, legislazione, concorrenza, etc. Si tratta di risposte pragmatiche che le persone all’interno dell’organizzazione aziendale elaborano ogni giorno per poi restituirle all’esterno. Parliamo di idee. Idee che si traducono in effetti chiamati prodotti e servizi. Qualcosa di molto sostanziale, come lo sono dati e documenti. Ecco che la gestione della conoscenza passa attraverso una “prospettiva cognitiva” dell’impresa o dell’organizzazione. Un esempio? La gestione dei Big Data o degli Small Data. I dati sono descrizioni di eventi. Banalmente, quanto e quali articoli vende ogni giorno il negozio sotto casa? Se la base dei dati raccolti è essenziale, affinché possa trasformarsi in informazioni utili occorrono altri passaggi. Disponendo di informazioni utili l’impresa può interpretare i dati e infine tradurli in decisioni. Raccolta dati, informazioni, interpretazioni, decisioni. È evidente che un solo errore commesso lungo questa filiera comprometta qualsiasi output finale. Servono quindi intelligenze, persone e tecnologie.
Le domande che il management dovrebbe porsi sono: cos’è che dovremmo sapere e che invece non sappiamo? Che valore assegniamo al knowledge management?
Il tempo è poco, le risorse finanziarie sono limitate e i dipendenti hanno già diversi progetti da gestire e non possono caricarsene di nuovi. In soldoni, sono questi i problemi quotidiani che investono il Project Manager. Facciamo un esempio. Un’agenzia pubblicitaria è stata incaricata dal Comune della sua città di realizzare e pianificare una campagna per incentivare la raccolta differenziata dei rifiuti. Per la campagna è previsto un nuovo sito web, l’attivazione di canali social, leaflet da distribuire e manifesti in giro per la città. Ciascun “prodotto” può essere suddiviso in singoli progetti. C’è un budget predefinito, ci sono tempi da rispettare, ci sono interlocutori del Comune con cui confrontarsi e soprattutto ci sono cittadini cui fare arrivare in modo forte e chiaro il messaggio. È quindi molto importante coordinare in modo ottimale i diversi segmenti del progetto, dalle risorse interne ai fornitori esterni dell’agenzia. Nel project management si rivelano molto utili quei metodi che fanno mantenere la visione d’insieme del progetto ma sono in grado di gestire tutti gli step. Un primo criterio è la chiarezza: ogni gruppo di lavoro e ogni persona coinvolta deve avere chiaro quali sono gli obiettivi e quali i ruoli. Maggiore è la complessità del progetto, maggiore attenzione va assegnata alla tecnica di project management. Un secondo criterio è la sostenibilità, a partire da quella finanziaria. Una buona gestione del progetto garantisce che il budget non sia esaurito troppo presto o investito in modo sbagliato. Un terzo criterio è la gestione del fattore tempo: se in capo ad ogni singolo team vi è un “pacchetto di lavoro” predefinito, è necessaria una governance rigorosa per obiettivi e priorità, e una altrettanto rigorosa gestione dei tempi di consegna. Che è un passaggio critico: specialmente quando sono coinvolte più persone non è infrequente vedere project manager impantanati nei vari processi di coordinamento.
Al netto di specifiche tecniche di gestione o di software di supporto, il Project Management è sempre un fatto di idee, di metodo e di relazioni fra persone.
In tempi di Intelligenza Artificiale ha ancora senso parlare di risorse umane e innovazione delle stesse? Sì, perché stiamo attraversando la quarta rivoluzione industriale, quella digitale. E in questo contesto ogni lavoratore ha cessato di essere considerato un bene strumentale per essere una risorsa su cui investire. Non è un caso se oggi la quasi totalità delle imprese ha come priorità lo sviluppo di una cultura digitale e di competenze digitali, oltre all’employer branding e all’attrazione dei talenti. Il tema di fondo resta sempre la cultura aziendale, frutto della combinazione di molti fattori: il mercato in cui si opera, le dimensioni, l’età media, la cultura del management, ecc. Se le piccole start-up metodi hanno organizzativi agili, le aziende più strutturate e longeve solitamente preferiscono modelli organizzativi più tradizionali. Gli approcci agili promuovono la responsabilità individuale, danno flessibilità e richiedono un maggiore coordinamento.
La riprogettazione del modello organizzativo è una priorità per il 45% delle aziende italiane.
Nei prossimi anni un passaggio decisivo per il successo di un’impresa starà nel motivare e nel coinvolgere le persone. Ad oggi, nelle organizzazioni “agili” le persone motivate toccano percentuali molto più alte rispetto alle organizzazioni tradizionali, di conseguenza, per queste ultime, lo sforzo organizzativo dovrà recuperare e investire in sistemi più agili, in grado di adattarsi al cambiamento. Ma è proprio la trasformazione digitale il passaggio cruciale, quel digitale che sta cambiando il nostro modo di vivere e che impatta, con il suo approccio diretto e consumer, anche sui sistemi aziendali. Occorrono quindi modelli organizzativi nuovi, che tengano le persone al centro ma trasformando competenze, skills, stili di leadership. La progettazione di percorsi di supporto al management per sviluppare una cultura del digitale, e relative competenze, passa attraverso programmi di formazione specifici. In assenza di una formazione continua e di alta qualità, anche i migliori processi di selezione del personale rischiano di naufragare.
Per l’impresa non esiste più il mercato di riferimento, esiste un ecosistema di riferimento
Alla luce della trasformazione digitale, la riorganizzazione sarà una priorità per 2 aziende su 3. Come affrontarla? Con un approccio adattivo per alcune, con piani strategici di lungo periodo per altre. Secondo recenti indagini un’azienda su tre definisce prioritario l’intervenire sulle risorse umane, in termini di upskilling e reskilling. La rivoluzione digitale impone una nuova cultura e competenze digitali in tutta l’organizzazione, dal management in giù, oltre all’inserimento di nuove professionalità digitali reperibili sul mercato. Anche i flussi comunicativi dovranno cambiare, passando dai tradizionali sistemi “top down” a modelli più concertati, rapidi ed efficienti. Oltre a questo, le organizzazioni dovranno lavorare in maniera coerente su processi e practice, andando a definire e delineare con maggiore attenzione una cultura aziendale e i conseguenti stili di leadership. Servirà investire in competenze e al contempo attingere ad una consulenza organizzativa in grado di riconfigurare strategia, struttura e processi.